La NASPI anche in caso di dimissioni

exitChi ne ha diritto

La legge riconosce al lavoratore dipendente che abbia perso involontariamente la propria occupazione il diritto a percepire dall’INPS una prestazione economica temporanea sostitutiva della mancata retribuzione. Negli ultimi anni, la disciplina dell’indennità di disoccupazione ha subito diverse modifiche, passando dall’Aspi/Mini Aspi all’attuale Naspi che ha semplificato le condizioni di accesso alla prestazione ed innovato molti altri aspetti.

I diversi interventi normativi hanno però conservato una caratteristica essenziale: la necessaria non volontarietà della disoccupazione, che trova fondamento nell’art. 38 della Costituzione.

Le eccezioni

Come regola generale, la Naspi è esclusa in caso di dimissioni da parte del lavoratore o nell’ipotesi di risoluzione consensuale del contratto. Fanno eccezione a questo criterio, alcuni casi individuati dal legislatore come meritevoli di particolare attenzione per il loro valore sociale e per la disparità di situazioni giuridiche e personali tra i contraenti.

Per queste ragioni, le dimissioni rassegnate da una lavoratrice madre nel periodo che va dall’inizio della gravidanza al primo anno di vita del bambino, pur trattandosi di una perdita voluta del lavoro, sono riconosciute utili per il diritto alla indennità di disoccupazione, in deroga al requisito generale della involontarietà.

La stessa deroga è riconosciuta alle dimissioni del lavoratore per giusta causa. A titolo esemplificativo, rientrano nella giusta causa le dimissioni motivate:

  • dal mancato pagamento della retribuzione;
  • dall’aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
  • dalle modificazioni in peggio delle mansioni lavorative;
  • dal c.d. mobbing;
  • dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell’azienda;
  • dallo spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra, senza che sussistano le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive previste dal Codice Civile;
  • dal comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore nei confronti del dipendente.

La “giusta causa” non basta

Per accedere alla disoccupazione non basta la semplice motivazione indicata nella comunicazione di dimissioni ma occorre che il lavoratore documenti all’INPS la sua volontà di difendersi, in sede amministrativa o giudiziale, nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro. Se la controversia per il riconoscimento della giusta causa non ha esito positivo, l’Istituto è tenuto a recuperare quanto corrisposto; lo stesso accade in caso di reintegro nel posto di lavoro a seguito di licenziamento giudicato illegittimo.

Infine, la legge assimila alla disoccupazione involontaria l’accordo tra le parti che, solo in particolari casi, è possibile realizzare presso la Direzione Territoriale del Lavoro nella procedura di risoluzione consensuale ex art. 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604 e modificazioni.