UNIONI CIVILI E CONVIVENZE: DIRITTI PREVIDENZIALI E ASSISTENZIALI

La legge n.76 del 2016, nota anche come Legge Cirinnà, ha istituito e regolamentato le unioni civili tra persone dello stesso sesso oltre a dettare la disciplina delle convivenze di fatto. Si tratta di una novità assai attesa e discussa, la cui rilevanza non si limita ai “soli” diritti civili, ma interessa quasi ogni ambito dell’ordinamento giuridico, compreso il regime delle prestazioni previdenziali ed assistenziali che più ci interessa.

Le unioni civili

La legge riserva l’istituto dell’unione civile alle persone maggiorenni dello stesso sesso che possono costituirla rendendo, in presenza di due testimoni, un’apposita dichiarazione all’ufficiale di stato soggetta a registrazione nell’archivio di stato civile.

Con la costituzione dell’unione civile le parti assumono reciprocamente una serie di diritti e doveri simili, anche se non esattamente coincidenti, a quelli tipici del matrimonio (assistenza morale e materiale, coabitazione, obbligo a contribuire ai bisogni comuni, condivisione dell’indirizzo della vita familiare, regime patrimoniale…).

Il legislatore ha poi previsto una norma di raccordo con la legislazione vigente secondo cui le disposizioni di legge (ad esclusione di particolari articoli del Codice Civile e della disciplina delle adozioni ed affidamenti), dei regolamenti, degli atti amministrativi e dei contratti collettivi che si riferiscono al matrimonio e che contengano le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile.

Diritto alle prestazioni

In virtù di questo automatismo, a partire dal 5 giugno 2016, data di entrata in vigore della legge, il componente dell’unione civile è equiparato ope legis al coniuge anche ai fini del riconoscimento del diritto alle prestazioni pensionistiche e previdenziali (INPS mess. 5171 del 21 dicembre 2016).

Gli effetti, pertanto, si estendono a tutte le prestazioni che già interessano gli sposi.

Si pensi alla pensione ai superstiti ed alla possibilità per la parte dell’unione civile di accedere al trattamento di reversibilità al pari di un coniuge, oppure alla disciplina degli assegni al nucleo familiare estesa nuclei composti da persone dello stesso sesso. Ed ancora, il reddito dell’unione assume rilevanza (in positivo o in negativo a seconda dei casi) per una eventuale integrazione al trattamento minimo, o l’assegno sociale o le maggiorazioni sociali esattamente come già avviene per il reddito coniugale.

Sul piano dell’assistenza al familiare disabile ne deriva che i permessi mensili ex l.104 ed il congedo straordinario possono essere concessi anche in favore del lavoratore dipendente, parte di una unione civile, che assista l’altra parte. Merita segnalare che tra una parte dell’unione civile ed i parenti dell’altra non si costituisce un rapporto di affinità, dunque, a differenza di quanto avviene per i coniugi, l’unito civilmente non potrà beneficiare delle agevolazioni lavorative per assistere i parenti disabili dell’altro.  

Le convivenze di fatto

Per convivenza di fatto la legge intende due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile. Il requisito della stabile convivenza fa riferimento alla dichiarazione anagrafica resa secondo le disposizioni del Regolamento anagrafico della popolazione residente.

A differenza dell’unione civile, che può essere costituita solo tra persone dello stesso sesso, la convivenza di fatto può interessare sia persone dello stesso sesso che persone di sesso diverso.

Diritto alle prestazioni

In materia di prestazioni previdenziali ed assistenziali, lo status del convivente certamente non può essere equiparato a quello del coniuge o della parte dell’unione civile. Il legislatore, infatti, ha disciplinato una serie di situazioni critiche e sensibili della convivenza (ad esempio il diritto di visita, assistenza ed accesso alle informazioni personali in caso di malattia o ricovero, alla manifestazione di volontà per la donazione degli organi e le esequie, oppure al diritto ad abitare la casa comune, o la nomina di un tutore, curatore o amministratore di sostegno…) senza mutare il regime di accesso alle prestazioni.

Su questo aspetto, si registra una recente apertura della Corte Costituzionale che con la sentenza n.213 del 2016, ha riconosciuto il diritto della convivente a beneficiare dei permessi mensili della legge 104 per assistere il compagno gravemente disabile. Le motivazioni, comunque, non risiedono nella pretesa equiparazione tra matrimonio e convivenza (affermazione che i giudici si guardano bene dal fare) ma nella tutela del diritto della persona disabile a poter beneficiare della piena ed effettiva assistenza da parte di una persona cara, membro di una comunità di affetti e solidarietà che è piena espressione della sua personalità.