Il lavoro agile

Da tempo sentiamo parlare di lavoro agile o “smart working”.

È stato introdotto con il Jobs Act, ma la legge che lo regolamenta è molto più recente, la n. 81 del 22 maggio scorso riguardante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, pubblicata il 13 giugno scorso ed entrata in vigore il giorno seguente. Il Capo II della legge interessa esclusivamente il tema del lavoro agile.

Cos’è il lavoro agile

Il lavoro agile, differente dal telelavoro, è una nuova modalità di svolgimento dell’attività lavorativa subordinata che in parte può essere svolta anche al di fuori dei locali aziendali e non è detto che sia svolto presso l’abitazione del lavoratore.

L’art 18 definisce, infatti, il lavoro agile “quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.

L’obiettivo di fondo è quello di raggiungere una maggiore competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Come si svolge

In sostanza le due parti potranno concordare l’individuazione delle modalità di svolgimento dell’attività, nonché concordare una certa flessibilità dell’orario di lavoro che, comunque, resta il medesimo degli altri colleghi.

Per alcune aziende tale opportunità di lavoro potrà consentire anche una significativa riduzione di alcuni costi fissi legati agli immobili e quindi alla loro gestione.

I datori di lavoro che potranno usufruire di questa opportunità potranno essere privati e pubblici.

I lavoratori interessati saranno sia quelli con contratto a tempo determinato che a tempo indeterminato; in entrambi i casi al lavoratore spetterà lo stesso trattamento economico dei colleghi che continueranno ad essere presenti in ufficio. Anche i lavoratori di cui alla legge 68/1999 (disabili appartenenti a categorie protette) possono esercitare forme di lavoro agile.

Aspetti problematici

Il datore di lavoro oltre ad essere comunque responsabile della sicurezza si dovrà occupare anche del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività oggetto del contratto di lavoro.

Le problematiche più significative sembrerebbero proprio quelle riguardanti la salute e la sicurezza del lavoratore. La legge 81/2017 parla semplicemente dell’obbligo del datore di lavoro di consegnare annualmente al lavoratore un’informativa scritta nella quale vengono indicati i rischi generali e specifici dell’attività lavorativa del lavoratore in questione, anche se il lavoratore dovrebbe rimanere tutelato in caso di infortuni e malattie professionali.

Proprio tenuto conto del ventaglio di situazioni che si potrebbero venire a creare e in considerazione del fatto che l’attività lavorativa può essere svolta sia all’interno dell’azienda che in altro luogo (magari non sempre lo stesso), potrebbe diventare complesso dimostrare all’INAIL la presenza di uno degli elementi costitutivi dell’infortunio, ovvero l’occasione di lavoro, anche in riferimento al grado di flessibilità dell’orario di lavoro che comunque dovrà essere ben identificato. Senza ombra di dubbio anche l’infortunio in itinere sarà oggetto di maggiore attenzione: in effetti l’art. 23 della legge in questione prende in considerazione solamente “il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali (…) quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza.” I criteri esposti saranno comunque soggetti ad un certo grado di discrezionalità e questo potrebbe significare un possibile mancato riconoscimento delle molteplici casistiche che si verranno a creare, con un arretramento di questo tipo di tutela.

Altra questione che deve essere valutata è quella riferita alle malattie professionali, perlomeno in quei casi in cui l’insorgenza sia dipesa dall’esposizione a sostanze nocive. Verificandosi la presenza costante in più ambienti lavorativi, potrebbe diventare più complesso riuscire a dimostrare l’idoneità del rischio a cui è stato sottoposto il lavoratore.

L’auspicio è quello che i futuri interventi normativi possano regolamentare tali aspetti considerando in primis quello della formazione specifica e di una possibile interazione con il datore di lavoro per l’individuazione dei rischi specifici.